Settimana Santa a Caltanissetta

La Sicilia, antichissima e splendida isola, la più grande del Mediterraneo, custodisce al suo interno una miriade di tesori da scoprire. Da sempre crocevia di molteplici culture e dominazioni, isola ricca di storia, cultura,  tradizioni. Terra accogliente, immersa in una natura palpitante di vita e colori che ritroviamo anche nei suoi boschi, nelle colline, nella montagna.

Scenario che si arricchisce ogni anno grazie ai colori della primavera, grazie ai profumi ed alle sfumature di questa stagione, preludio inaspettato di antiche memorie che ritrovano il proprio spazio nei riti che caratterizzano la Pasqua in Sicilia.

La memoria della passione e della morte del Cristo rivive secondo antichissimi rituali in numerosi centri di tutta la regione, così fortemente ancorata al proprio passato, alle proprie radici. Tra le manifestazioni che avvengono in Sicilia durante questi giorni, la Settimana Santa di Caltanissetta ha conservato particolari sfumature che la rendono di rilevante valore, sia antropologico che sociale, sia culturale che prettamente religioso.

La città di Caltanissetta sorge nel cuore della Sicilia. Città ricca di storia, passaggio di dominazioni e culture.

Gli Arabi, con l’impianto del quartiere Angeli. I Normanni, con l’abbazia di Santo Spirito. Gli Spagnoli con il barocco di palazzo Moncada. Poi, nei primi decenni dell’Ottocento, la città divenne la capitale mondiale dell’industria estrattiva dello zolfo, trasformandosi da centro agricolo a realtà industriale. Una realtà ormai svanita e che, forse, si è cercato di dimenticare troppo in fretta.

Oggi è la campagna ad avvolgere l’abitato. Un paesaggio in cui si avvicendano diversi tipi di colture. Grandi estensioni di mandorleti, splendidi alla vista, hanno reso famosa la città per il suo torrone, noto in tutto il mondo. La città negli ultimi decenni ha conosciuto un notevole sviluppo, pur restando intimamente legata alle proprie tradizioni.

Le celebrazioni della Settimana Santa rivivono infatti anno dopo anno in una atmosfera carica di suggestione. Il primo appuntamento di questi giorni è la processione di Gesù Nazareno, che si svolge la Domenica delle Palme.

Una barca interamente ricoperta di fiori, conduce la statua di Gesù Nazareno dall’atrio dell’ex collegio dei gesuiti attraverso le vie del centro storico. Infine il simulacro viene condotto a spalla all’interno della chiesa di Sant’Agata.

Si entra nel vivo delle celebrazioni il Mercoledì Santo, con la processione della Real Maestranza, che propone ogni anno una particolare simbologia, ritrovando nella vittoria della vita sulla morte il proprio filo conduttore.

La processione della Real Maestranza si sviluppa in due momenti differenti. Il primo, memoria della passione e del lutto di tutto il mondo cristiano per la morte di Gesù, ha inizio dall’atrio della biblioteca comunale, struttura barocca, un tempo collegio dei Gesuiti. I rappresentanti dei vari ceti, infatti, qui si riuniscono dopo essere stati a prelevare il Capitano dalla propria abitazione. Nell’atrio vengono abbrunati i simboli di questo particolare esercito: le bandiere vengono avvolte da veli neri, come neri sono i guanti ed il cravattino di ogni artigiano.

Le Maestranze ebbero origine nel medioevo come libere associazioni di artigiani, con lo scopo di difendere i diritti e di regolamentare l’esercizio di ogni attività lavorativa all’insegna dei valori cristiani, della rettitudine e dell’onestà.

A Caltanissetta, secondo lo storico Biagio Punturo, la loro comparsa avvenne nel periodo rinascimentale.

Nata come piccola milizia per la difesa della città, la Maestranza sfilava anche per la processione del Santo Patrono, e per le solenni Quarant’ore. Il Capitano, col tipico abito Settecentesco, procede lento, portando mestamente in braccio il Crocifisso velato di nero, simbolo della morte e del lutto che avvolge il mondo cristiano, come quel nero avvolge il Cristo inchiodato alla croce.

Dopo aver perso nel Settecento tutti i privilegi militari, la Maestranza a Caltanissetta rimase in vita, rafforzando in particolare la tradizione delle cosidette Quarant’ore, intimamente legata al sacramento dell’Eucarestia.

La processione percorre, tra due ali di folla, tutto il Corso Umberto per giungere in Cattedrale.
Giunti in piazza Garibaldi gli appartenenti alla Real Maestranza fanno ingresso nella Cattedrale, passando attraverso la navata centrale in ricordo di un antico privilegio.

In chiesa è esposto il Santissimo, che da lì a poco prenderà parte alla processione.
Qui, durante la liturgia, il colpo di scena: cravatte e guanti neri, come le calze del Capitano della Real Maestranza ed i vari nastri su lance e bandiere vengono sostituiti da quelli bianchi.

È lo stesso Capitano, a dare solennemente il via alla riformata processione, quale portavoce del profondo messaggio di speranza che Cristo ha lasciato con il sacrificio della Croce. Prende adesso parte alla processione il Santissimo Sacramento, che sorretto dal Vescovo annuncia alla città la vittoria di Cristo sulla morte. L’Eucarestia diventa un simbolo vibrante di vita, di sacrificio, ma anche di riconciliazione.

In questo modo la Real Maestranza si è conservata tra noi ed il Mercoledì Santo questo particolare esercito accompagna la processione del Santissimo Sacramento.

Sempre nella giornata del Mercoledì Santo, nel tardo pomeriggio, prende vita la processione delle cosiddette Varicedde. Piccoli simulacri, miniature delle grandi Vare del giovedì, che ripropongono gli episodi della Passione del Cristo, le Varicedde danno vita ad una singolare processione, che procede nel buio della sera, per le vie del centro storico.

L’istituzione di tale manifestazione si deve  all’iniziativa di un gruppo di giovani apprendisti dei maestri di bottega.

Essi, in reazione all’esclusione dalla processione del Giovedì Santo, trovarono nelle varicedde la maniera di partecipare a pieno titolo alle celebrazioni della Settimana Santa.

Oggi  i  piccoli gruppi sacri sono in possesso di privati che ne curano la  tutela e la conservazione.

L‘alba di un nuovo giorno fa respirare tutta la freschezza di una rinata primavera.

A Caltanissetta si da inizio ad una nuova giornata di questa intensa settimana, che vedrà protagoniste le Vare.

L’attesa della processione offre l’opportunità di ammirare l’architettura dei palazzi del centro storico, emblema di una nobiltà e di una borghesia arricchita dall’industria zolfifera, splendido residuo di un’epoca ormai definitivamente scomparsa. Le facciate di fine Ottocento mettono in rilievo il raffinato gusto del tempo, sempre attento ai minimi particolari, che diventa perfino espressione di originale esteriorità in certi preziosismi decorativi.

Nella centrale piazza Garibaldi, fa bella mostra di se con i suoi guizzi d’acqua la fontana del Tritone, realizzata dallo scultore nisseno Michele Tripisciano. Qui si erge la chiesa di San Sebastiano, dal suggestivo prospetto bicromo, realizzato in un vivo stile eclettico al principio del Novecento. Tuttavia l’elemento più significativo della piazza Garibaldi è certamente la Cattedrale, Santa Maria La Nova. Il tempio venne eretto a partire dagli ultimi decenni del XVI secolo, per le necessità di una città allora in espansione e la costruzione continuò sino al secondo dopoguerra.

L’interno, a croce latina, è riccamente decorato dagli affreschi eseguiti ad inizio del Settecento dal pittore fiammingo Guglielmo Borremans, che rappresentano differenti momenti del racconto biblico. Poco distante dalla Cattedrale la chiesa di Sant’Agata al Collegio, inaspettata nei diversi colori della sua architettura e nella perfezione dei suoi splendidi paliotti marmorei, ripaga ampiamente il tempo di una visita.

All’interno spicca la ricchezza decorativa del tempio, elemento caratteristico delle chiese appartenute all’ordine dei Gesuiti.

Mentre gli ultimi raggi di sole scompaiono dietro le colline, in città ha inizio la processione delle Vare, autentiche opere d’arte, enormi gruppi statuari che sembrano custodire il mistero della passione e della morte di Gesù cristo. Lo storico nisseno Michele Alesso attribuisce l’origine della processione del Giovedì Santo alla Confraternita di San Filippo Neri fusa, dopo la soppressione dell’Ordine dei Gesuiti avvenuta nel 1767,  insieme a quella dei Civili o Galantuomini, la quale portava lungo le vie della città cinque gruppi sacri ciascuno dei quali composto da statue di cartapesta.

Abolita intorno al 1801, la processione venne riproposta nel 1840 grazie all’iniziativa di Giuseppe Alesso, anch’egli membro della Congregazione  di San  Filippo Neri.

Incoraggiato dal lusinghiero successo ottenuto dalla prima edizione, realizzava con grandi statue in cartapesta quindici Gruppi. Per sostenere le spese necessarie al mantenimento della processione, ciascun gruppo venne assegnato ai diversi ceti della città. La processione si sviluppò sempre di più. Solo a metà degli anni Sessanta dell’Ottocento conobbe un declino derivato soprattutto dalla mancanza di mezzi economici. Più tardi, nel 1881, un terribile disastro occorso in una delle miniere di zolfo della zona, la Gessolungo, diede nuovo impulso alla processione. I minatori sopravvissuti decisero infatti di partecipare alla processione con una propria “vara”.

Dopo aver tentato con un gruppo raffigurante la Veronica, decisero di commissionarne uno nuovo e affidarono l’opera a due artisti napoletani, Francesco e Vincenzo Biangardi, che la completarono per la processione del 1883. Dopo questo primo lavoro i Biangardi curarono  la costruzione di tutti gli altri “Gruppi”, per l’eccellente maestria dimostrata ed anche perché i vecchi gruppi erano ormai deteriorati e poco apprezzabili dal punto di vista artistico. Le Vare sono in tutto sedici e gli abili artisti hanno saputo plasmare in esse non solo delle sculture devozionali, ma una vera e propria storia ricca di personaggi, minuziosi particolari e simbologie.

Tra tutti spicca sicuramente il Gruppo raffigurante La Deposizione: ispirato a quello più noto di Rubens, si può considerare per abilità di esecuzione, il vero capolavoro del talento dei Biangardi.
In esso  il movimento dei personaggi, in senso ascensionale, fa da contrasto a quello delicatamente discendente del corpo di Cristo.

La processione si protrae per tutta la notte, accompagnata dalle musiche delle numerose bande e dai giochi pirotecnici, sino a ritornare di nuovo nella centrale piazza Garibaldi, da dove il sacro corteo era precedentemente partito.

Il giorno successivo, il Venerdì Santo, è un giorno vissuto diversamente in città, un giorno di dolore e di sconforto che si esprime nel silenzio. La commovente e straziante processione del Cristo Nero ha origini assai remote, proprio perché questo piccolo crocifisso miracoloso, protettore della città sino al 1625, è uno dei più antichi simulacri del centro Sicilia. Un piccolo crocifisso, detto il Signore della Città, viene condotto per le vie del centro storico, in una atmosfera ricca di suggestione, avvolto dagli effluvi dell’incenso e accompagnato dall’antico canto delle laudate.

La processione, vissuta nella compostezza e nella sentita commozione, racchiude nel silenzio la propria voce, nel lamento tutto il proprio dolore. I “fogliamari”, protagonisti indiscussi della processione, portano a spalla il pesante baldacchino dorato e decorato con motivi vegetali, che fa da corona regale al crocifisso, intonando questi lamenti che ripercorrono in un arcaico dialetto siciliano la Passione di Cristo e della Vergine Maria. La Maestranza, con le insegne abbrunate, rivolte verso il basso, accompagna il simulacro.

Alla processione partecipano il Vescovo e il Clero e la cittadinanza, con commozione e profondo raccoglimento.

Le lanterne creano una suggestiva scia luminosa che mista all’odore acre dell’incenso portato in vassoi fioriti, accompagna il simulacro sino al rientro nella chiesa del Signore della Città, a lui dedicata.

La processione del Cristo Nero chiude il ciclo delle manifestazioni più significative della Settimana Santa a Caltanissetta.

 

Posto: Caltanissetta
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